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Intervista a Massimiliano Damerini

Massimiliano Damerini | GOG

Pianista e compositore, Massimiliano Damerini è un artista legato alla GOG da lunga e importante collaborazione e il suo vasto repertorio, ricco anche di opere moderne e contemporanee, gli ha permesso di presentare in tante occasioni musiche rare e nuove.
In occasione del suo concerto al Teatro Carlo Felice di lunedì 4 novembre 2019, Massimiliano Damerini ha parlato del suo ormai pluridecennale idillio con la GOG, della sua attività di compositore e dei progetti, da lui curati, legati alla musica del Novecento e, in particolar modo, alla figura di Aleksandr Skriabin.

Maestro Damerini, il suo rapporto con la GOG dura da molti decenni ed è stato recentemente perfezionato con alcuni concerti, proposti a Palazzo Ducale, dedicati alla musica del Novecento. Ci può parlare di questo rapporto?
Si può dire che il rapporto con la GOG duri da sempre. Ricordo da spettatore, da bambino, di aver assistito a concerti memorabili - Rubinstein, Kempff..., pianisti favolosi che venivano invitati a Genova. Dopodiché ho intrapreso una collaborazione attiva ormai da una quarantina di anni.
Il rapporto con la musica del Novecento ha sempre rappresentato una componente fondamentale della mia carriera di musicista - forse anche perché sono compositore, pertanto mi sento particolarmente legato alla musica del mio tempo.
Al di là del fatto che ho suonato tantissima musica della nostra epoca e parecchi compositori mi hanno dedicato i loro pezzi, collaborando con la GOG ho potuto ampliare il discorso sul Novecento: all'inizio degli anni Duemila ho lavorato con la GOG per alcune stagioni come consulente per i programmi del Novecento e, quindi, abbiamo costituito un ensemble di "amici" che operavano attivamente a livello internazionale per lo sviluppo e la fruizione della musica contemporanea.
Abbiamo, così, dato vita ad alcuni concerti dedicati ad momenti particolarmente importanti della musica del secolo trascorso.
Di recente, la collaborazione si è estesa con i concerti a Palazzo Ducale, ultimo dei quali la trascrizione della Terza Sinfonia di Skrjabin per pianoforte a quattro mani: quest'ultimo è un altro "tassello" del rapporto che mi lega al compositore Aleksandr Skrjabin di cui credo di essere stato, da giovane, uno dei pochissimi interpreti in Italia; in seguito, per fortuna, è diventato un compositore veramente importante a cavallo fra Ottocento e Novecento - fra l'altro marginalmente vissuto anche nel 1905 a Bogliasco, qui vicino a noi.
Sono anche, infine, fra i fondatori del Centro Studi Skriabiniani: Skrjabin è un autore che ho seguito e studiato molto a fondo

Maestro, lei è anche compositore. Ci può parlare di questa attività e di come la pratica?
Considero la mia attività di compositore un "secondo lavoro" dopo la professione pianistica.
Aver frequentato i massimi compositori della nostra epoca mi ha a lungo influenzato.
Per un certo periodo di tempo avevo quasi il "rifiuto" di scrivere materiale inedito perché a contatto con tutti questi personaggi non ero convinto di comporre qualcosa in grado di lasciare un segno, una testimonianza.
Con il passare degli anni ho incominciato nuovamente ad avere il piacere di scrivere, di rimettermi a cercare nuove soluzioni o - se non particolarmente nuove, a riflettere su alcuni aspetti del nostro recente passato e a lavorarci sopra, soprattutto sullo studio della timbrica.

Nella sua formazione hanno rivestito particolare importanza alcune figure: da un lato i suoi insegnanti Alfredo They e Martha Del Vecchio, dall'altro Dino Ciani, grande pianista, prematuramente e tragicamente scomparso, che ha avuto modo di conoscere e apprezzare. Ci può parlare dell'influsso di questi personaggi nella sua vita di musicista?
Dino Ciani è particolarmente legato a Martha Del Vecchio in quanto suo allievo, anche se poi si è perfezionato con Alfred Cortot. Quindi, attraverso Martha Del Vecchio, l'ho conosciuto e ho potuto frequentarlo per, purtroppo, poco tempo, ossia negli ultimi anni della sua vita. Poi, quell'incidente tremendo lo ha tolto al nostro panorama musicale e umano.
Il mio primo maestro importante è stato Alfredo They, pianista molto conosciuto soprattutto in mezzo alle due guerre - dopo il secondo conflitto mondiale la sua attività di concertista si era un po' ridotta. Da Alfredo They ho imparato molto; lui, purtroppo, morì quando io stavo preparando l'esame dell'ottavo anno: ho, quindi affrontato un cambio "forzato" di insegnante, nel senso che mi sono trovato senza un docente. Ciononostante, l'essere "passato" sotto Martha Del Vecchio, insegnante eccezionale, mi ha condotto ad altri "lidi".
Alfredo They mi ha insegnato l'amore per la musica nuova: è stato lui, per esempio, il primo interprete in Italia negli anni Venti di un autore che io ritengo importantissimo e troppo spesso trascurato - che ho altresì proposto per la GOG in alcune occasioni, qual è Karol Szymanowski, artista polacco che nel suo paese è secondo solo a Chopin. In Italia è invece troppo poco eseguito e troppo poco conosciuto. Alfredo They è stato il primo interprete italiano delle sue musiche pianistiche e mi ha fatto conoscere un autore così straordinario e raffinato.
Mi ha, inoltre, introdotto alla musica del nostro tempo: all'epoca ero ancora un ragazzino, quindi ho cominciato proprio con lui a "scavare" nella musica contemporanea.
Il primo pezzo del Novecento che ho studiato è stato il Quaderno Musicale di Annalibera di Luigi Dallapiccola, dedicato alla figlia Annalibera. Conobbi Dallapiccola molto marginalmente e me lo presentò Dino Ciani, ma ebbi avuto modo di entrare in contatto con la figlia Annalibera, risiedente in Gran Bretagna e in quel momento docente universitaria a Edimburgo: suonai più volte per la BBC nella capitale scozzese e in una di queste occasioni ebbi il piacere di eseguire il Quaderno Musicale di Annalibera con Annalibera in prima fila!

Il programma che presenterà stasera al Teatro Carlo Felice ha due comuni denominatori: Vienna e la forma sonata. Può illustrarci il programma e la scelta dei brani?
Il programma che propongo stasera nasce in maniera un po' casuale. A me piace molto trovare nei programmi dei riferimenti storici o delle analogie. Non eseguo mai programmi che si presentano come dei "cataloghi" di pezzi o cose di questo genere: tutto ciò non mi interessa.
Allo stesso tempo non desidero orientarmi al grande virtuosismo: non sono, infatti, propenso a questo tipo di pianismo.
Mi interessa, invece, il discorso storico e il fatto che Vienna, mitteleuropa, sia stata una capitale così importante - non soltanto per la musica ma in modo molto particolare per l'aspetto musicale, mi ha guidato attraverso queste scelte: quattro sonate con tanti riferimenti.
La Sonata in si minore di Haydn, che introduce un autore piuttosto drammatico e intimo, ha la stessa tonalità della Sonata di Berg, composta quasi 130 anni dopo. La Sonata di Berg chiude un'epoca storica e ne apre un'altra: si tratta quindi di un pezzo importantissimo, a cavallo fra due epoche.
Allo stesso tempo ho scelto, appositamente, di eseguire la Sonata op. 90 di Beethoven, una sonata in due soli movimenti, per il fatto di essere la più "schubertiana" fra le sue sonate.
Nella seconda parte compare, infine, l'ultima sonata di Schubert, il "testamento" dell'autore, il quale scrisse questo immenso capolavoro a 31 anni, poco prima di morire, in grado di legarsi "virtualmente" agli altri tre compositori.
Schubert è un altro dei miei "amori", me ne occupo da tanti anni e ho terminato lo scorso anno di incidere l'integrale delle sue sonate, lavoro che mi è costato tanti anni di impegno ma ne è valsa la pena. L'ultima Sonata, la Sonata in si bemolle maggiore D 960, è, per me, un testamento. La eseguo da oltre 40 anni, la presenterò fra un mese in tournée in Israele ed è un pezzo che mi "distrugge" dentro: ogni volta che la interpreto necessito di molta calma, di pace interiore. Infatti è difficile che io conceda bis dopo aver suonato la Sonata D 960 in quanto è un'opera che mi "prende" completamente: se ci dovesse comunque essere un bis sarebbe comunque "nel nome" di Schubert

Il concerto di stasera si concluderà con la Sonata op. 1 di Alban Berg, opera che ci traghetta nel Novecento, secolo che lei ha deciso - come già ricordato, di approfondire e studiare. Cosa significa, per lei, riscoprire e divulgare il repertorio pianistico del secolo scorso, spesso ancora troppo ignorato dai programmi concertistici?
Occorre innanzitutto sottolineare che la Sonata op. 1 di Berg rappresenta la fine di un'epoca: si tratta, quindi, di una sonata con riferimenti ancora tonali e molto forti, con echi del "Tristano" e di Mahler che in quel momento era in piena attività.
Il discorso si fa più complesso quando si parla della musica più vicina a noi. Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale abbiamo probabilmente assistito a un'epoca piuttosto complicata durante la quale i compositori hanno incominciato a ragionare più in maniera "chimica" nella musica e meno dal punto di vista del risultato effettivo, dell'effetto che si poteva "dare" a un pubblico o a un eventuale pubblico.
Per questo motivo risulta piuttosto difficile l'approccio a questo tipo di musica. Mi tocca affermare che le musiche dei compositori attuali non mi entusiasmano come i lavori risalenti agli anni Sessanta, Settanta e Ottanta e risulta difficile capire verso quale epoca ci stiamo muovendo.
La complessità della musica ha, in qualche modo, allontanato il pubblico, a differenza invece di altre proposte come le rassegne di arte contemporanea che risultano gradite e seguite, magari non a tutti e non da tutti. Mi sono quindi chiesto il perché del minore impatto dei concerti di musica contemporanea. La memoria fa riferimento a elementi che noi conosciamo da sempre, quindi alla tonalità degli accordi che ci sono familiari... in tal modo ascoltare un brano che non ha nessun tipo di riferimento a tutto ciò può risultare scioccante e può spiegare lo scarso gradimento da parte del pubblico.
Il compito di noi interpreti è quello di presentare al pubblico anche la musica più "ostica", cercando di fargliela "capire" in quanto ricca di significato: basti pensare che ancora fino ad alcuni anni fa le sinfonie di Mahler erano considerate "brutte", come pure la musica di Messiaen e persino Stravinskij, con lo scandalo provocato dalla prima de Le Sacre du Prinptemps, oggi considerato al contrario un capolavoro a tutti gli effetti come la Nona Sinfonia di Beethoven. Probabilmente occorrerà ancora tanto tempo per assimilare tutto ciò.

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